A Cop15 le popolazioni indigene si fanno sentire: “Siamo noi i custodi della biodiversità”

A Cop15 le popolazioni indigene si fanno sentire: “Siamo noi i custodi della biodiversità”


Le popolazioni indigene più di chiunque altro hanno saputo catalizzare l’attenzione dei delegati di Cop15, la conferenza Onu sulla biodiversità che si chiuderà il 20 Dicembre con l’obiettivo di siglare una serie di impegni chiave per la tutela della natura entro il 2030. “Il negoziato sulla biodiversità deve mettere al centro le popolazioni indigene”, spiega Dinamam Tuxa, avvocato del più grande gruppo indigeno del Brasile, la Rete dei Popoli Indigeni del Brasile. “Qualsiasi accordo deve riconoscere che la conservazione è più efficace nelle terre gestite dagli indigeni che nelle aree protette statali”. Il Global Biodiversity Framework, l’atteso documento finale di Cop15, dovrà includere chiare menzioni sul ruolo prioritario delle comunità indigene e sul loro diritto sovrano di determinarsi all’interno di queste aree. “Su questo punto non si può transigere”, dice Marco Lambertini, del WWF International.

Uno dei punti chiave del Framework infatti è quello di tutelare almeno il 30% delle aree marine e terrestri entro il 2030. Ma se in passato la creazione di aree protette, soprattutto in Africa, Asia e Latino America, ha visto in alcuni casi la rimozione di popolazioni autoctone e comunità tradizionali (ragione per cui varie comunità indigene sono molto sospettose sull’obiettivo 30%), ora con il nuovo accordo globale è fondamentale che venga garantito il pieno diritto di autodeterminazione nella gestione delle riserve naturali e nelle aree protette. “L’80 % della biodiversità rimanente nel mondo si trova su terre gestite e amate dalle popolazioni indigene”, afferma Valérie Courtois, direttrice della Indigenous Leadership Initiative. Secondo le Nazioni Unite, le terre indigene costituiscono circa il 20% del territorio terrestre e contengono l’80% della restante biodiversità mondiale, mentre le “indigenous people” sono meno del 5%della gente mondiale. Dati che dimostrano l’indubbia centralità nella sfida di tutelare la natura, specie nei paesi megadiversi come Brasile, Canada, Indonesia, Congo, India.

 

“La nostra area protetta del Seal River Watershed è uno spazio molto grande, 50.000 chilometri quadrati. Ha le stesse dimensioni del Costa Rica, ed è incontaminata al 99,97 %”. A parlare è Stephanie Thorassie, della Sayisi Dene First Nation (first nation è l’appellativo canadese delle società native, ndr) che sovrintende questa immensa area del Canada. “Le acque sono intatte e le specie abbondano e sono tutte importanti: orsi, caribù, beluga, foche, ghiottoni…Qua nessuna industria può sorgere. Abbiamo trovato l’equilibrio per migliaia di anni con queste terre, prima che la scienza scoprisse gli equilibri della natura. Noi siamo i migliori custodi di questo tesoro ricercato”. Le richieste delle popolazioni sono precise: chiare menzioni sui loro diritti nel testo finale del Global Biodiversity Framework, risorse economiche da parte dei governi che più hanno beneficiato dallo sfruttamento della biodiversità, riconoscimento e tutela dei saperi tradizionali. “E’ importante una chiara menzione nell’accordo internazionale: ciò darebbe una validità legale per tutte le comunità del pianeta”, continua Stephanie Thorassie. “Così si potranno davvero difendere specie in pericolo come il Caribou, che nonostante sia da noi cacciato e venga usata ogni sua parte, dalle pelli al grasso, continua a prosperare in queste terre”.

Per sostenere il monitoraggio e la condivisione di saperi, sempre più network tribali stanno nascendo, come la Indigenous Leadership Initiative o la rete delle Comunità indigene Amazzoniche. Non mancano le iniziative di sostegno economico: il governo canadese nei giorni scorsi ha promesso un fondo da 550 milioni di euro per i prossimi sette anni per progetti di conservazione in territori gestiti da popolazioni first nation, per almeno un milione di chilometri quadri di aree protette. Ma il vero pool di risorse a cui tutti guardano è il fondo per la biodiversità che sarà finalizzato nei negoziati. L’Europa ha messo 7 miliardi di euro sul tavolo che si vanno ad aggiungere agli altri 15 già presenti. L’obiettivo per molti sarebbe raggiungere almeno 100 miliardi l’anno, ma non sembra un obiettivo perseguibile. L’Italia ha deciso di non annunciare risorse specifiche per il momento. Usa e Cina rimangono silenziosi per il momento su eventuali contributi.

Durante la prima sessione del Segmento di alto livello, caratterizzata dagli interventi dei ministri e viceministri di tutti i paesi membri, un gruppo di artisti del calibro di Barbara Streisand, Rosario Dawson, Ricky Martin hanno lanciato un appello in favore delle popolazioni indigene dell’Amazzonia. “Gli indigeni dell’Amazzonia hanno vissuto per secoli in equilibrio con la foresta pluviale. Il nostro futuro collettivo richiede che ascoltiamo le voci indigene in prima linea. I governi e i leader mondiali dell’Amazzonia devono proteggere l’80% dell’Amazzonia entro il 2025” ha dichiarato il cantante Ziggy Marley, figlio di Bob Marley e firmatario dell’appello. Rimangono solo 48 ore per concludere un testo che ascolti tutte queste richieste. Una corso contro il tempo che gli indigeni non sono disposti a perdere.



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[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2022-12-16 16:25:58 ,

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[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2022-12-16 16:25:58 ,
Il post dal titolo: A Cop15 le popolazioni indigene si fanno sentire: “Siamo noi i custodi della biodiversità” scitto da [email protected] (Redazione di Green and Blue) il 2022-12-16 16:25:58 , è apparso sul quotidiano online Repubblica.it > Green and blue

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